Il turnista (detto anche session man o sideman), è un performer professionista che viene assunto su commissione o in appoggio ad una band o ad un artista. I requisiti principali per poter aspirare ad intraprendere questa professione sono l’elevata preparazione tecnica e stilistica (ovvero la capacità di sapersi destreggiare in diversi generi musicali adottando le giuste tecniche a seconda del contesto, in una parola “versatilità”), la personalità e la capacità di mettere la propria firma nella performance (quindi musicalità, sensibilità e carattere) e la capacità di organizzare il proprio lavoro rispettando delle scadenze ben precise.
A raccontare questa professione è il giovane chitarrista Nicola Cipriani, veronese classe 1989, che possiamo definire un “turnista di lusso” grazie alla capacità di rispecchiare ad alti livelli i requisiti sopracitati, rendendolo ad oggi uno dei musicisti più promettenti ed apprezzati nel panorama italiano.
Da sempre impegnato nello studio della musica pop, Nicola ha collezionato 13 tour con Paolo Meneguzzi (in Italia e Cile, con apparizioni in Egitto, Slovenia, Svizzera) e nell’ultimo anno con l’artista vincitore di Amici e Sanremo Marco Carta.
Nicola ha collaborato inoltre con artisti del calibro di Rudy Rotta, GionnyScandal, Studio 3, Simone Tomassini, Bobby Solo, Ernesttico, Brad Myrick, e portando avanti progetti discografici personali come BestOff, John Papa Boogie Blues Band e il suo progetto in duo con Samuele Rossin.
Visto il curriculum, non abbiamo perso l’occasione di sfogare la nostra curiosità a caccia di aneddoti e informazioni utili, con lo scopo di chiarire i segreti di questo mestiere ed in qualche modo aiutare tutti coloro che sognano di intraprendere intraprendere questa strada, impervia ma senza dubbio ricca di soddisfazioni.
Ciao Nicola, è sempre un piacere ascoltare la storia di chi, come te, ha fatto della propria passione un lavoro; tuttavia l’impressione che abbiamo è che, più che una passione o un lavoro, il tuo sia un vero e proprio percorso che negli ultimi anni ti ha portato a viaggiare senza sosta rimbalzando verso destinazioni paradisiache.
A parte la facciata che tutti vediamo, com’è la vita del turnista?
Ciao Michele e innanzitutto grazie per l’intervista.
La vita del turnista? Bella domanda!
È un mestiere che sto tutt’ora imparando a conoscere. Per me il primo tour è stato il punto di svolta della mia carriera. Rapportarsi con professionisti, viaggi, organizzare strumentazione, arrangiare ed entrare in simbiosi con la canzone e l’artista lasciando fuori il proprio ego ma allo stesso tempo..personalizzando e divertendosi: la vita del turnista è fatta di tanto lavoro, tanta organizzazione ed è a mio avviso un modo meraviglioso di poter vivere la musica. Mi ritengo molto fortunato.
Facciamo un po’ di chiarezza! In cosa differisce il lavoro del turnista rispetto al musicista come parte di una band?
Nei tour ci si rapporta con un’artista che ha un’identità e un suono preciso. Quindi bisogna rispettare le canzoni, l’artista e la sua musica, portando comunque sul palco la propria personalità e professionalità. Significa prendere i brani, studiarli, fare dei suoni adeguati, proporre in fase di prove l’arrangiamento “da studio” e seguire le direttive del band director e dell’artista per portare il brano verso il suono desiderato, la giusta atmosfera. Questa è sicuramente una partecipazione diversa rispetto a far parte di una band: si tratta più di concorrere alla realizzazione dell’idea di qualcun altro.
Basti pensare alla gestione delle tempistiche: al di là dei turni in studio, preparare un tour comprende una sessione di prove intensa in tempi ristretti, e una tournée dove tutto si ripete ogni notte, scaletta e momenti compresi. Nelle band, dove invece i ritmi sono meno serrati, il lavoro è distribuito in maniera molto diversa, con il rischio naturalmente di perdere tanto tempo.
Il rapporto con Paolo Meneguzzi, il primo grande artista con cui ho avuto la fortuna di lavorare e lavoro tutt’ora, è ora di amicizia. Le sue tournée ed i suoi consigli, assieme a quelli di Renato Droghetti (suo tastierista e arrangiatore) mi hanno cresciuto musicalmente quasi più di ogni altra cosa. Avere la fortuna di lavorare con una persona come lui è prima di tutto una grande fortuna.. ad oggi sono 8/9 anni di tour con lui, in Italia e all’estero, in particolare in Cile.

Com’è stata la tua prima esperienza come parte di un tour internazionale?
Sconvolgente!
Catapultato dall’altra parte del mondo grazie a 6 corde.. già il pensiero mi faceva andare via di testa. Mi sono goduto e mi godo tutt’ora ogni singolo chilometro, viaggio e volo, conoscendo posti e immergendomi nella cultura del luogo.
Di aneddoti ce ne sarebbero tanti. Le tournée come ti dicevo portano in giro lo stesso spettacolo con poche variazioni ad ogni tappa.. la ripetizione del gesto e degli arrangiamenti porta l’interplay ad un livello che difficilmente si raggiunge in altri contesti.
Basti pensare che in un tour dall’altra parte del mondo si dedica un mese o più totalmente al progetto, pensando solo ed esclusivamente alla buona riuscita dei concerti, agli arrangiamenti e a godersi il viaggio con le persone che si hanno di fianco (altro discorso.. importantissimo stare bene con gli altri della band). Ho ricordi di concerti con una carica mai vista. Ripeto, sono veramente fortunato a poter affrontare questo genere di cose e vorrei che anche tutti i miei allievi provassero quello che ho provato io.
Ti racconto un paio di aneddoti.
All’uscita dai controlli doganali in Cile, nel primo vero e proprio tour con Paolo & band (dopo un viaggio di 18 ore tra voli e scali), ci siamo trovati qualche centinaio di fan urlanti con cartelloni. Immaginate la mia faccia davanti a qualcosa del genere.
Altro aneddoto.. non so se si può raccontare però ci provo lo stesso (tanto Max, batterista, mi vuole bene).
Nord del Cile, credo Calama, in pieno deserto. Palco di un casinò, pieno stracolmo di gente venuta per il concerto. Finiamo lo show a bordo palco davanti alle ragazze urlanti e Max (batterista).. si lancia. Si proprio così, stage diving, il re dello show. Non ho mai riso tanto.. io non ho avuto il coraggio.
Hai altri aneddoti da raccontarci?
Ne avrei veramente a tonnellate.
Nel bene e nel male nei tour ci si prepara ad ogni cosa. Si impara a viaggiare, a risolvere problemi, a essere ligi e professionali nel momento in cui è richiesto e fare “squadra” e sapersi divertire nel post.
Strumentazione che non va, sequenze che si inceppano, problemi di corrente..queste sono alcune delle cose negative che possono succedere.
Non ci si agita, si trova una soluzione al più presto e si va avanti con il sorriso. La gente è li per vedere uno spettacolo e qualche problema tecnico non potrà fermarlo.
Viaggi in ritardo, bagagli e voli persi.. mi è successo un po’ di tutto. Ho sviluppato una sorta di calma interiore dove ogni cosa deve avere il suo peso, senza essere troppo nervosi.
Se c’è una cosa meravigliosa del viaggiare in Italia, oltre ai luoghi mi viene in mente sempre il cibo. Penso di aver provato ogni specialità territoriale delle regioni del centro sud.
Anche il Cile non scherza per via di cibo. Immergersi nella cultura significa provare anche quello!
Come ti prepari a livello tecnico per affrontare un tour?
Ho una mia routine: studio dei pezzi, organizzazione della strumentazione e programmazione dei suoni.
Uso pedaliere digitali da tanti anni per poter programmare i preset per ogni brano, sul palco dato la ripetitività della scaletta preferisco non avere pensieri e richiamare tutti i suoni identici da pedaliera con un clic. Ora sto usando Fractal e mi trovo molto bene, mi permette di programmare con il computer e salvare la scaletta con tutti i suoni.
Nella vita tendo a essere incasinato, nei tour non c’è spazio per il casino. Tutto va organizzato al millimetro, cosa portare, chitarra, tracolla, plettri, in ear, ecc. Normalmente mi prendo sempre quei 5 minuti fuori dalla porta di casa per ripetermi tutto il necessario.
Dopo la collaborazione con Paolo Meneguzzi, arriva anche l’ingaggio con Marco Carta. Quando e come è iniziata quest’esperienza e in cosa differisce il tuo lavoro con i due artisti?
L’esperienza con Marco Carta è partita la primavera scorsa, lui tornava sulle scene con un nuovo tour e aveva bisogno di una band e di una gestione della parte tecnica e artistica live.

Andy Eynaud, batterista (già con Meneguzzi, Sonohra, Sugarshake) a cui sono tanto grato mi ha coinvolto in questa avventura sia in qualità di chitarrista che per la co-direzione artistica.
Il procedimento qua è stato differente, siamo partiti da zero con mix delle sequenze, prove e arrangiamento in studio (allo splendido White Studio di Simone Bertolotti a Milano), e allestimento palco in 4 giorni nel palasport di Policoro – Matera, con annessa data zero.
Dalla scelta della band alla costruzione e arrangiamento dello spettacolo il lavoro è stato svolto con autonomia rapportandosi con il manager e con l’artista stesso, una bella soddisfazione considerato che si partiva da zero.
Con Paolo invece, il lavoro è iniziato nel 2010, ero poco più che un “bocia” (ragazzino) catapultato in un nuovo mondo meraviglioso. Il rapporto è di amicizia e ne abbiamo passate veramente tante, dentro e fuori dal palco.
La gestione di band e delle sequenze in questo caso è affidata alle sapienti mani di Renato Droghetti, produttore, compositore e arrangiatore di alcuni dei successi che suoniamo in tour. Paolo, inoltre, ragiona e lavora da “musicista”, partecipa e decide in prima linea a ogni scelta che il pubblico sente live sia nelle tournée italiane che in quelle cilene.
Sono due lavori diversi ma caratterizzati dallo stesso principio: rispettare l’artista e la sua musica.
Davanti ci sono lui, le sue canzoni e la sua carriera e il nostro lavoro è “celebrare” la sua musica rendendola al meglio.
Essere sempre in posti diversi, a contatto con persone diverse, ogni giorno in un palco diverso. Come gestisci la pressione fisica del viaggio e la tensione psicologica derivante dal fatto di dover essere sempre al top ad ogni appuntamento?
Ci si abitua, personalmente amo viaggiare e reggo bene ogni cosa. Non dico che mi senta a casa ma già il fatto di lavorare con uno show preparato, con musicisti amici che stimo.. un po’ di “casa” c’è sempre con me. I viaggi non sono sempre agevoli, orari e trasferte spaccherebbero un toro. Bisogna ritagliarsi lo spazio per poter riposare, godersi il viaggio e concentrarsi esclusivamente sul concerto. Ogni altro pensiero è in più.
I piccoli gesti poi rendono tutto più magico, almeno quando c’è tempo. In periodo di tour tendo a leggere molti libri, ascoltare molta musica nuova e farmi influenzare da essa. Tutto rende il viaggio più “casa”.
Una delle patologie più comuni tra i tuoi colleghi è purtroppo la depressione, correlata ai disturbi del sonno provocati da un’attività prettamente notturna. In uno studio del Guardian si sostiene infatti che il 60% dei musicisti siano affetti dalla “depressione post tour”, provocata dall’altalena emozioni fortissime – calma piatta. Hai mai provato questa sensazione?
Non so se patologico.. personalmente alla fine di un intenso tour il poco sonno e la stanchezza si fanno sentire. Tornati dalle tournée oltre oceano ancora di più.
A me resta una malinconia buona, quella che viene dopo un’avventura che sai che ti ha cambiato un po’ dentro. La traduco sempre in un po’ di tempo da solo a scrivere e comporre, come se dovessi far uscire tutto il vissuto attraverso un canale. Che siano parole o musica non importa.
Cosa deve essere un buon turnista, oltre ad essere un bravo musicista?
Bisogna essere bene organizzati, essere capaci di stare con le persone, avere tanta pazienza e saper “comportarsi bene”.
Ciò non vuol dire essere schiavi o dire sempre di si, significa capire che prima di tutto (e lo dico dopo anni di tour) c’è la persona e il comportamento. Un maleducato che suona benissimo è un gioco che non vale la candela, c’è troppo da organizzare e da fare prima di quelle due ore fatidiche sul palco, bisogna innanzitutto stare bene fuori dal palco.
Il consiglio migliore che posso dare per chi intraprende questo mestiere è essere ricettivi, aperti. Imparare ad ascoltare e a dire la propria.
Il discorso dei contatti è molto spinoso ma fa parte del gioco, siamo in un contesto lavorativo (come dicevo prima) dove si tende a lavorare con persone preparate, professionali, piacevoli ed è normale che un certo tipo di comportamento porti a costruire meglio la propria carriera.

La professione del turnista in Italia e all’estero: in che modo la nostra legislazione e inquadramento lavorativo qui in Italia incidono sul mestiere?
La professione musicista in Italia, decisamente non è agevolata. Basti pensare che nella figura professionale del musicista difficilmente si svolge “solo” un’attività. Si suona live, si registra in studio, si insegna nelle scuole nei corsi ordinari e magari in masterclass. Già solo non riuscire ad inquadrare in una stessa cassa previdenziale la didattica e il live è di per se scomodo (e assurdo).
Personalmente sono iscritto da tanti anni a una cooperativa che gestisce tutta la parte fiscale del mio lavoro. È il metodo più veloce e meno problematico, gestiscono tutto loro e io semplicemente mi concentro sul suonare.
Cosa stai programmando per il futuro? C’è una strada che hai disegnato? Quali obiettivi personali ti sei prefissato e a cosa stai mirando?
Sto cambiando ascolti e gusti, ogni fase della mia vita è stata caratterizzata da una diversa musica. Personalente mi sto concentrando nel comporre in chitarra solo e prevedo il prossimo mese di registrare, assieme al chitarrista americano Brad Myrick, il nostro primo disco. Tra l’Italia e gli States, voglio che sia un’esperienza di vita e non solo un disco.

Inoltre sto organizzando una giornata dedicata alla chitarra il 12 novembre a San Martino Buon Albergo (VR) dove suonerò con Brad e Peo Alfonsi.
Questo nell’immediato futuro.
Per quanto riguarda gli obiettivi personali credo, musicalmente, che la ricerca di una voce “mia”, sia in ambito di side-man che di compositore sia fondamentale. La ricerca dei suoni, la strumentazione, lo studio.. vorrei poter portare sempre più originalità nel mio modo di suonare e accompagnare. E, naturalmente, poter fare questo mestiere per molti e molti anni ancora.
Ultima domanda-curiosità: cosa stai ascoltando in questo periodo? Hai degli artisti da consigliare ai lettori?
Arrivo da una lettura dell’autobiografia di Herbie Hancock. Ho ascoltato ogni album di cui parla nel libro, quindi Herbie è obbligatorio. Ora sto sentendo The Imagine Project, suo album di riarrangiamenti con ospiti illustri (Pink, John Legend, Derek Trucks per citarne alcuni).
Nel pop adoro Alejandro Sanz, cantante, compositore sopraffino e popstar spagnola, vero divo in America latina. Un album tra tutti Paraiso Express.
I miei tre album preferiti usciti nel 2018 ad oggi sono:
Grazie Nicola per aver condiviso con noi questi racconti di musica e di vita, e un grandissimo in bocca al lupo per tutti i progetti futuri!
Grazie Michele per quest’intervista e viva la musica!