Bagarinaggio: non scherziamo sui biglietti!

Ci sentiamo in dovere di spendere una parola per una problematica che da sempre affligge il mondo della musica, ma che nell’ultimo periodo si sta facendo sempre più pesante, sopratutto per chi nel settore della musica ci lavora e per tutti coloro che per passione ruotano attorno a questo splendido mondo: il bagarinaggio.

Una sconfitta quindi per chi gravita attorno all’ambiente del palcoscenico, per chi attende davanti all’ormai noto TicketOne l’apertura delle vendite dei biglietti dei Coldplay piuttosto che degli Aerosmith, ed è costretto a mangiarsi le unghie perché non riesce a portare a casa nemmeno un biglietto.

Ma cos’è il bagarinaggio? Le dinamiche di questo sistema non sono sempre chiare e semplici: una società organizzatrice di un’evento è legata a livello contrattuale ad una società che ne gestisce la vendita dei biglietti (il portale già citato TicketOne); tuttavia per avere maggiori profitti, lo stesso organizzatore decide di non riservare tutti i biglietti alla suddetta società di vendita (come dovrebbe), ma di riservarne una parte ad un secondo sistema di commercio (definito come secondary ticketing), che stabilisce un prezzo di vendita superiore condividendo infine i proventi con l’organizzatore stesso. Come già sappiamo tutto ciò è illegale, e nonostante abbia catturato l’attenzione di molti, sopratutto nell’ultimo periodo, e sia già stato ampiamente condannato dalla stampa (Repubblica, Corriere della SeraGQ, Rockol, solo per citarne alcuni) e dai media (Le Iene su tutti), non è una novità per chi conosce il settore.

L’argomento è già stato ampiamente sviscerato, ma ciò di cui ancora non si parla, sono le conseguenze e le ripercussioni che il bagarinaggio genera, colpendo professionisti ed appassionati, senza risparmiare il settore della didattica musicale.

Come la stiamo vivendo noi di School of Art? Male, malissimo.

Qui parlo in prima persona, da musicista e da didatta, facendo le veci di tutti quei colleghi che come me hanno intrapreso questa strada prima di tutto per la passione smodata verso questo settore, riuscendo poi a trasformarla in professione.

Noi, in Italia, siamo abituati a questo genere di cose. Guardiamo alle eccellenze dell’estero sapendo di pedalare spesso e volentieri con il bastone tra le ruote.

Non perché a Londra o Amsterdam abbiano da offrire qualcosa che noi non abbiamo a livello artistico, ma perché la nostra vita professionale è sicuramente più travagliata della loro, a causa di una burocrazia e una legislazione che non ci favorisce, anzi, spesso come già detto ci ostacola. Stiamo ingabbiando, spremendo con l’unico intento di monetizzare, uno dei piaceri della vita: la musica. I dati parlano chiaro, l’industria dell’intrattenimento è una delle economie trainanti nei paesi che ne favoriscono lo sviluppo, nei paesi dove gli artisti di strada non vengono multali per disturbo alla quiete pubblica, dove la musica colora le città ed i locali, scaldando gli animi dei passanti e favorendo il turismo, a beneficio di tutti non per gli interessi di pochi.

Mi ritrovo quindi a motivare e spingere i ragazzi più giovani nel frequentare concerti, nel sostenere la buona musica e nell’apprezzare chi la fa e la suona davvero, per poi sentirli rammaricati di non essere riusciti ad acquistare i biglietti del concerto della loro band preferita e vederne in vendita su portali secondari a prezzi che più che improponibili, definirei indecenti. Ciò è il frutto di un sistema malato, che lascia spazio solo al business, oscurando e macchiando il piacere e le emozioni indescrivibili che il contesto del live dà al pubblico.

Ma il cambiamento parte da me, da noi.

Vorrei solo poter dire ai ragazzi che imbracciano il proprio strumento di fronte a me, che musicalmente parlando il terreno dove cresceranno loro sarà più fertile e stimolante di quello dove sono cresciuto io.

Pubblicato da Michele Bogoni

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